Giusnaturalismo e giuspositivismo

Azione umana, diritto, linguaggio

Nel 1949 l’economista Ludwig von Mises codificò la prasseologia come scienza dell’azione umana, procedendo per assiomi (postulati indimostrabili ma incontestabili): l’azione umana è un fondamento in quanto è impossibile non agire; qualsiasi tipo di interazione dell’uomo con l’ambiente è un’azione e un tentativo di modificare la realtà esterna con lo scopo di raggiungere uno stato finale preferibile.

Se la catallassi è l’azione economica, il diritto è l’azione umana finalizzata a regolamentare la violenza stabilendo quando essa è consentita e quando no, ovvero è un’azione verbale volta a regolamentare e a indirizzare le azioni altrui mediante la minaccia o l’applicazione della violenza.
Il diritto è necessariamente una funzione del linguaggio, in quanto si esprime con la comunicazione verbale.

Il linguaggio è espressione del pensiero e della coscienza. Il pensiero è un assioma, una condizione umana insopprimibile la cui negazione comporta una contraddizione logica. Secondo lo psicologo Julian James, la mente umana funziona con la costituzione dell’autocoscienza, che è appropriazione razionale di se stessi e del proprio corpo. Le origini prasseologiche sono la proprietà di se stessi (l’Io) e la progressiva appropriazione di se stessi attraverso la coscienza (il pensiero).
Il linguaggio è la struttura del pensiero, un accordo sociale attraverso il quale l’uomo come società si appropria di sé e del mondo dando dei nomi agli oggetti della realtà e comunicando con gli altri.
La disputa sugli universali pone il problema del rapporto tra pensiero, linguaggio e realtà e riguarda l’essere dei concetti generali, la definizione della natura e della fonte delle astrazioni, e la determinazione del rapporto tra i concetti e i dati percettivi. Varie scuole filosofiche hanno tentato di dare una soluzione al problema degli universali (si veda l’articolo “La soluzione oggettivista al problema degli universali”), giungendo a conclusioni molto diverse e di grande impatto anche su diverse visioni del diritto.

Giusnaturalismo e giuspositivismo

Due sono gli approcci per costituire le regole del diritto: il giusnaturalismo e il giuspositivismo.
In un sistema giusnaturalista, la legge è il limite non arbitrario al potere coercitivo, mentre in un sistema giuspositivista, è il potere coercitivo a limitare la legge.

Il giusnaturalismo deriva dal diritto romano e dai diritti barbarici, e si sviluppa in seguito sotto forma di diritto continentale e common law. Il diritto romano non aveva il compito di attenersi a norme prescrittive e non era il prodotto di una legislazione parlamentare come la conosciamo oggi. Basandosi sul principio “non nuocere a nessuno”, riconosceva e assegnava a ciascuno la proprietà privata ed era “l’arte del buono e dell’equo”. Era l’opera di giureconsulti chiamati da due o più parti in conflitto per risolvere e appianare una disputa, dove l’accordo raggiunto costituiva il precedente giudiziario al quale riferirsi in fattispecie analoghe. Era il diritto naturale nato con la cultura greca classica (ragione naturale e principi eterni), sviluppato dalle scuole giuridiche medievali e dalla tradizione giudaico-cristiana (razionalità umana e volontà di Dio, che creò l’uomo a sua immagine e somiglianza), ripreso nel dibattito nell’ambito del diritto sulla guerra, trattato da Thomas Hobbes e John Locke, e infine recuperato nel secondo dopoguerra.

Il giuspositivismo deriva dal diritto romano o Corpus iuris, che prevedeva che qualsiasi decisione dell’imperatore fosse legge. Da questo deriva l’assolutismo e in seguito il primato della legislazione nei moderni stati democratici, i cui ordinamenti giuridici si basano su un principio di effettività, ovvero funzionano per generale accettazione e correttezza procedurale. A seguito degli orrori dei regimi totalitari del Novecento, basati sulla legittimità costituzionale degli stessi e sull’esigenza di obbedire alle leggi, il giuspositivismo entra in crisi nel secondo dopoguerra, in quanto si avverte la necessità di stabilire un limite alla legge, rappresentata dalla tutela dei diritti umani fondamentali.
Nonostante questi tentativi, dagli anni Cinquanta il diritto continentale e il common law rimangono positivisti, in assenza di definizione di un’istanza superiore al diritto positivo capace di giudicarlo e di dichiararlo inefficace.

Diritto negativo e diritto positivo nella filosofia e nella storia

Secondo Aristotele, il diritto (dikaion, “giusto” o “diritto”) o l’oggetto della giustizia non va confuso con la morale. Il suo compito principale è quello di operare una sana distribuzione dei beni e delle cariche pubbliche tra i membri della collettività. È la virtù del “giusto mezzo”, la distribuzione in quantità moderata tra due sistemi opposti, o lo scambio di equivalenti (ventitré secoli dopo Marx avrebbe fatto lo stesso errore, tralasciando di considerare che è proprio la disparità di valore attribuito agli oggetti a determinarne lo scambio). Aristotele trae questa concezione del diritto dall’osservazione del linguaggio e della natura esterna all’uomo, che è un riflesso dell’esperienza. La concezione aristotelica del diritto si adattava molto bene al diritto romano applicato dai giureconsulti.

Diversamente da Aristotele, per Platone la giustizia non deve limitarsi a distribuire a ciascuno ciò che gli spetta, ma ha il compito di perseguire il bene. Secondo Platone, gli universali esistono come entità reali o archetipi perfetti ed eterni in un’altra dimensione della realtà; gli oggetti concreti che l’uomo percepisce evocano quelle astrazioni nella mente umana e ne sono i riflessi imperfetti. Individuando quindi le fonti del diritto nell’ideale e non nel mondo reale, Platone concepisce un ordinamento giuridico pesantemente normativo dal carattere utopico e strettamente legato alla morale, un diritto che in nome dell’armonia delle parti sacrifica l’individuo, legittimando poteri assoluti e dittatoriali come rimedio ai mali della società.

Cicerone fu influenzato da Platone e Aristotele. Tuttavia, se per Aristotele il lavoro del giurista consiste nel ricercare la giusta soluzione ai problemi giuridici, per Cicerone il giurista deve soltanto obbedire ai comandamenti della ragione o alle leggi che si pretendono dedotte dalla ragione, perciò il diritto finisce per identificarsi con le leggi. Qui cambia anche il concetto di natura: non è più una natura esterna all’uomo, bensì una “natura umana” intesa come una retta ragione che ci esorta ad adempiere ai nostri doveri, una ragione insita nell’animo umano, ma non nella stessa misura in tutti gli uomini.
Con l’Umanesimo si verificherà un apparente ritorno al concetto di diritto naturale e al diritto romano, in quanto quest’ultimo sarà recepito attraverso gli scritti di Cicerone.

Sant’Agostino influenzò molto la concezione del diritto nel Medioevo. Secondo Agostino, se noi conosciamo il vero, il bene, la giustizia solo grazie a Dio e non grazie all’esperienza sensibile, e se la verità, la giustizia sono Dio stesso, allora dobbiamo rinunciare al diritto naturale di Aristotele e dei giureconsulti romani.

La scuola francescana e i nominalisti appoggiarono la concezione agostiniana. Secondo Guglielmo di Ockham, gli universali esistono solo nella mente umana ma non nelle cose, sono parole dotate di un significato in quanto designano un’idea nel pensiero di una pluralità di individui di natura simile. Pertanto Guglielmo di Ockham nega l’esistenza delle categorie universali su cui si fonda il pensiero aristotelico, sostenendo che soltanto l’individuo è dotato di esistenza reale e può costituire l’oggetto autentico della nostra conoscenza. La prospettiva nominalistica nega quindi ogni esistenza reale alle entità astratte, ovvero concetti e idee, riducendole a meri segni linguistici; pertanto la giustizia non deve salvaguardare l’ordine naturale dando a ciascuno il suo, ma deve assicurare al singolo il godimento dei propri diritti individuali. Da questa concezione del diritto derivano i diritti soggettivi e la nozione di diritto viene fatta coincidere con quella di potere, per cui ogni diritto sarà specificato in base al contenuto del potere che legittimamente l’individuo potrà esercitare, purché sancito da una legge positiva, fonte del diritto. Guglielmo di Ockham pose le basi della nascita del positivismo giuridico.

Non così pensava San Tommaso d’Aquino, il quale predicò sia il ritorno alla dottrina del diritto naturale del “pagano” Aristotele sia il ricorso alle fonti “profane” per l’elaborazione del diritto. Secondo lui e gli altri realisti moderati, gli universali esistono nella realtà, ma soltanto negli oggetti concreti sotto forma di essenze metafisiche, e i concetti si riferiscono a queste essenze. Pertanto San Tommaso non riteneva le fonti rivelate adatte alla creazione del diritto, in quanto la loro funzione è soltanto istruire gli uomini nelle cose attinenti alla salvezza e non in quelle relative ai beni e alle questioni temporali.

A partire dal Basso Medioevo le esigenze commerciali determinarono lo sviluppo dello ius mercatorum da parte della classe mercantile, senza mediazione della politica. L’obiettivo era facilitare gli scambi commerciali, accordando preferenza al venditore-creditore piuttosto che al compratore nei contratti di compravendita e la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci per le obbligazioni sociali. Con l’aumento della responsabilità dei soci, l’interesse protetto era quello della classe di mercanti e della sicurezza dei traffici, al fine di accumulare maggiore ricchezza.

Il positivismo giuridico

Con la nascita e l’ampliamento delle funzioni dello Stato moderno si assiste al proliferare di una legislazione positiva. È interesse dello Stato favorire il commercio e l’industria per poter ricavare le risorse finanziarie necessarie al mantenimento dell’apparato burocratico. Finché le esigenze dello Stato e dei ceti produttivi si limitavano a proteggere i sudditi, a difendere i confini, e a tutelare la proprietà privata e i traffici commerciali, la legislazione è rimasta poco invasiva. Con l’avvento della democrazia e del suffragio universale gli Stati hanno adottato politiche di redistribuzione della ricchezza per ottenere consenso elettorale. È nato così il welfare state, anche nei paesi di common law, vera erede del diritto romano, e l’affermazione dei diritti soggettivi (pretese sul comportamento altrui) ha finito per degenerare in diritti particolari a vantaggio di precise categorie, concessi da uno stato “padre” che sa sempre cosa è meglio per ogni categoria sociale.

Il decisore finale ha il diritto e il potere di stabilire le regole ed esserne l’ultimo arbitro in base a un principio di legittimità che è puramente psicologico e irrazionale (la “servitù volontaria” di Étienne de la Boétie) in quanto deriva dalla convinzione dei “sudditi” che il “sovrano” deve fare le regole alle quali loro devono obbedire. L’istinto giuridico-normativo, in base al quale le norme sono utili per la sopravvivenza, si differenzia dall’istinto di conformità (obbedienza di gregge), ma entrambi si prestano a una degenerazione del rapporto tra legislatore e sudditi.

Prasseologia e principio di non aggressione

La legge di natura in senso prasseologico deve essere conforme alla definizione di essere umano come soggetto che agisce, che è proprietario di se stesso e che è posto in un sistema di interazioni sociali determinate dal linguaggio. La legge deve quindi essere in accordo con la natura umana e la proprieta di sé in un sistema sociale.

Il principio di non aggressione (non è consentito iniziare la violenza contro l’integrità fisica e la proprietà di un altro essere umano pacifico) è conforme alla natura umana e alla prasseologia, e insieme al diritto di proprietà e allo stato di diritto (principio di uguaglianza davanti alla legge) rappresenta il limite alla libertà in un sistema di ordine spontaneo basato sulla conoscenza distribuita e non centralizzata. Si tratta di quel sapere che si sviluppa spontaneamente e gradualmente, grazie allo spirito di ricerca (si veda l’articolo “Critical Theory versus metodo scientifico”) o alla creatività dell’uomo: è la conoscenza scientifica in senso lato (compresa quella giuridica) o la conoscenza imprenditoriale, che hanno sempre rappresentato il principale motore del progresso dell’umanità.

Critical Theory versus metodo scientifico

La rivoluzione culturale

La mancanza di spirito rivoluzionario nelle masse allo scoppio della Grande Guerra e l’assenza di sostegno popolare all’esportazione in Occidente della rivoluzione bolscevica di Lenin spinsero i marxisti a interrogarsi sulle ragioni del fallimento del comunismo in Occidente. Gli intellettuali Antonio Gramsci e Georg Lukács ne attribuirono la causa al forte condizionamento esercitato sulle masse dalla cultura tradizionale e dalla morale giudaico-cristiana.

Secondo Gramsci, per costruire una società comunista sarebbe stato necessario, ancor prima che conquistare gli apparati del potere statale, cancellare i valori e le istituzioni tradizionali della società occidentale: la famiglia, la religione, l’etica borghese. In che modo? Attraverso la progressiva occupazione da parte dei comunisti di tutti gli organi della società civile. Anziché conquistare la società conquistando lo stato con la violenza, come aveva fatto Lenin, la strategia di Gramsci era conquistare lo stato conquistando pacificamente e gradualmente le istituzioni culturali e i centri di potere (si veda l’articolo “Il fallimento del liberalismo istituzionale”).

Come Lenin, anche Lukács usò la violenza per imporre dall’alto il suo programma di sovvertimento culturale quando divenne viceministro dell’istruzione nella Repubblica sovietica ungherese di Béla Kun, ma non ricevendo il sostegno popolare fu costretto a fuggire in Germania. A Francoforte fondò nel 1923 l’Istituto per il Marxismo, in seguito rinominato Istituto per la Ricerca Sociale, il luogo nel quale furono poste le basi teoriche del politically correct.

Nel 1930 Max Horkheimer prese il comando dell’Istituto per la Ricerca Sociale e in collaborazione con i filosofi Theodor Adorno e Herbert Marcuse e gli psicologi Eric Fromm e Wilhelm Reich affermò che la cultura era un fenomeno sociale indipendente, non una sovrastuttura determinata dalla struttura economica della società, come invece aveva sostenuto Marx. Ciò implicava che non sarebbe stata la classe operaia, oppressa dal capitalismo e dalla struttura di classe, a fare la rivoluzione, almeno finché non fosse stata liberata dalla “repressione culturale” esercitata su di essa dalla tradizione borghese.

La Critical Theory

Nel 1933, con l’avvento al potere di Hitler, i membri della Scuola di Francoforte furono costretti a lasciare la Germania alla volta di New York. Lì elaborarono la Critical Theory (Teoria Critica), che è tuttora il principale strumento di analisi utilizzato nelle facoltà di studi sociali.
Lo scopo della Teoria Critica non era comprendere la realtà, bensì trasformarla, minando alla base le istituzioni, senza proporre un’alternativa. Secondo i neomarxisti, l’oppressore non era più il proprietario dei mezzi di produzione, bensì alcuni gruppi definibili con la razza, il sesso, l’etnia e la religione, in particolare i maschi bianchi.

Negli anni Sessanta Herbert Marcuse dette un grande contributo alla diffusione della cultura neomarxista tra le masse, insegnando nelle università che la logica formale e il metodo scientifico rappresentavano il “nemico” in quanto “negavano la realtà dell’utopia”. Secondo Marcuse la libertà d’espressione era inutile e dannosa, perché se era il comunismo a fornire le risposte, “non c’era bisogno della logica, del dibattito e del libero scambio di idee”.

Il politically correct

Recentemente nel mondo anglosassone, ma anche in tutto l’Occidente, è scoppiata una nuova guerra culturale che vede contrapporsi due schieramenti: da un lato, un gruppo allineato di intellettuali che spingono verso un controllo sempre più pervasivo del dibattito pubblico a difesa del “politicamente corretto”; dall’altro, un gruppo critico di intellettuali che ritengono che la libertà di espressione sia un elemento cardine della cultura occidentale e del dibattito scientifico ancor prima che politico, grazie alla quale è stato possibile lo sviluppo tecnologico degli ultimi due secoli.

Il politically correct è un insieme di idee a valenza soggettiva che si vogliono imporre all’intero sistema sociale, nonché un insieme di tattiche volte a impedire il dibattito pubblico o l’indagine scientifica contraria alla sua “narrativa”, ovvero a una visione della realtà sacralizzata posta al di fuori del perimetro della libertà di espressione.

Questa narrativa fortemente ideologizzata che oggi predomina in Occidente ha appunto origine nella cosiddetta Teoria Critica della Scuola di Francoforte, che descrive la società occidentale capitalista come classista e oppressiva, superando la distinzione tra classi. Di conseguenza, la struttura gerarchica della società occidentale non ha soltanto basi economiche, ma anche basi identitarie, dove i gruppi sociali con i tratti somatici, sociali e culturali occidentali rientrano automaticamente nella classe dominante o oppressore, mentre chi presenta caratteristiche minoritarie è sistematicamente definito oppresso.

Lo scopo ultimo della Teoria Critica è una società più giusta ed equa resa possibile da una serie di politiche volte a controbilanciare queste condizioni di presunto e non comprovato privilegio, rifiutando una valutazione oggettiva e non discrezionale della condizione dei gruppi sociali. Va da sé che questa teoria non può fondarsi sulla tutela dei diritti “negativi” e sul rispetto del principio di uguaglianza davanti alla legge, che sono invece elementi fondanti della cultura e della filosofia liberale. L’unica opzione disponibile per ottenere una società “giusta” resta l’egualitarismo dei punti di arrivo, una condizione nella quale nessun aspetto sociale sarà escluso dall’azione coercitiva di chi è chiamato a stabilire la condizione di uguaglianza.

Il successo della Teoria Critica è stato dovuto alla penetrazione culturale nelle istituzioni di potere auspicata da Gramsci e all’aver proposto nel dibattito i suoi assunti totalitari come espressione di assoluta tolleranza e inclusività, eliminando così qualsiasi critica, a meno di essere percepita in malafede. Questo atteggiamento ha pervaso anche il mondo scientifico, data la parziale condivisione dell’area di indagine unita alla diversità dei metodi di indagine e del fondamento epistemologico (la base filosofica per considerare una conoscenza come valida ed entro quali limiti).

Il metodo scientifico

La comunità scientifica applica ancora il metodo scientifico come metodo valido di analisi, che è costituito da diverse fasi:
1) Ipotesi: quali sono le leggi che determinano il comportamento di un certo fenomeno reale nel caso in cui le leggi scientifiche finora determinate non lo spieghino in maniera efficace e coerente?
2) Sperimentazione: si definiscono gli esperimenti che devono potenzialmente essere ripetibili ovunque da chiunque per confermare o smentire l’ipotesi;
3) Metodo: il metodo e i risultati della sperimentazione devono essere comunicati alla comunità scientifica affinché possa validarli (tramite articoli su riviste scientifiche peer-reviewed).
Per le discipline scientifiche “morbide”, che analizzano fenomeni umani e sociologici, gli esperimenti devono necessariamente essere di natura statistica, e un’analisi statistica può essere considerata valida solo se il campione statistico è composto da un numero sufficientemente elevato di individui e non pre-selezionato per falsare i risultati; ciò rappresenta un ostacolo significativo al meccanismo di ripetizione dei risultati. Il metodo scientifico ha sempre alla base un meccanismo di autocorrezione che presuppone scetticismo come punto di partenza del processo di controllo esercitato dalla comunità scientifica.
4) Teoria: la conoscenza scientifica non è mai considerata come definitivamente corretta. Secondo Popper, l’uomo può comprendere la natura soltanto in maniera approssimativa e migliorabile, e perché un’ipotesi possa essere utile per descrivere la realtà in modo scientifico, essa deve essere falsificabile, ovvero, per verificarla deve essere possibile ideare degli esperimenti che potenzialmente ammettano risultati che possano dimostrarne la falsità o la veridicità. Se tutti i possibili risultati di un esperimento possono solo convalidare la teoria, tale esperimento non può essere considerato di alcuna utilità nella validazione delle ipotesi in analisi. Ciò implica che una teoria è considerata corretta solo fino a che non verrà ideato un esperimento che ne smentisca la validità.

Conclusioni

Quindi, mentre il metodo scientifico può funzionare se e solo se resta sempre aperto lo spazio di critica e dibattito rispetto alle teorie scientifiche ritenute fino ad allora valide, l’ideologia politically correct della Critical Theory si propone come unico fondamentale strumento per la comprensione della realtà umana e sociale. Attraverso il controllo totale della società, tutti possono ottenere le stesse condizioni di arrivo, ma solo tramite l’imposizione di assunti fondamentali che escludono ogni possibilità di critica e valutazione nel dibattito pubblico.
Pertanto, dove risiede la logica quando si vogliono giustificare le violazione dei diritti umani in nome della tanto decantata Scienza?

Le Argonautiche

Da te sia l’inizio, Febo, a che io ricordi le gesta
degli eroi antichi che attraverso le bocche del Ponto
e le rupi Cianee, eseguendo i comandi di Pelia,
guidarono al vello d’oro Argo, la solida nave.”

Elle e Frisso, figli del re di Orcomeno Atamante, fuggono dalla matrigna con un montone dal vello d’oro. Durante il volo sul mare, Elle cade in uno stretto (Ellesponto) e muore. Frisso giunge nella Colchide, sposa Calciope e immola il montone, affidando il vello d’oro a un drago.

A Iolco, il re Pelia spodesta il fratello Esone per assumere il comando della Tessaglia. Un oracolo gli ha predetto che sarà spodestato da un ragazzo senza un sandalo. Il figlio di Esone, Giasone, costretto ad allontanarsi per non essere ucciso, a vent’anni ritorna a Iolco e al guado del fiume Anauro perde un sandalo mentre aiuta una vecchia ad attraversarlo. Quando Pelia incontra Giasone, decide quindi di sbarazzarsene affidandogli un’impresa impossibile: raggiungere la Colchide alla conquista del vello d’oro.

Accettando passivamente il suo destino, Giasone raduna un gruppo di circa cinquanta eroi, tra i quali: Orfeo (poeta e cantore), Asterione, Polifemo (figlio di Elato), Admeto (signore di Fere), Erito, Echione e Etalide (i tre figli di Ermes), Corono (figlio di Ceneo), Mopso Titaresio (indovino), Eurimadante, Menezio, Eurizione, Eribote, Oileo, Canto dall’Eubea, Clizio e Ifito, Peleo (padre di Achille) e suo fratello Telamone (fratello di Peleo e padre di Aiace), Bute e Falero, i Dioscuri, Polluce e Castore, Eracle e Ila, Tifi (il timoniere), Argo di Tespi (figlio di Arestore e costruttore della nave), Fliante, Taleo, Areo, Leodoco, Nauplio, Idmone, Augia, Meleagro, Lacoonte, Ificlo (zio materno di Giasone), Ificlo (figlio di Testio), Palemonio, Asterio, Anfione, Eufemo, Anfidamante e Cefeo, Anceo, Ida e Linceo, Periclemo, Zete e Calais (i due figli di Borea), Acasto (figlio di Pelia) ecc.

Partiti dal porto di Pagase in Grecia, gli Argonauti si fermano sull’isola di Lemno per fare rifornimento. Le donne dell’isola hanno ucciso tutti gli uomini tranne Toante, il padre della regina Ipsipile. Contravvenendo alle leggi dell’isola, Ipsipile decide di risparmiare gli Argonauti, a condizione che facciano dei figli con loro. Gli Argonauti accettano e rimangono sull’isola, finché Eracle non li convince a proseguire il viaggio.

Da Samotracia, gli Argonauti giungono al paese dei Dolioni. Il re Cizico accoglie ospitalmente gli eroi, che riescono a sconfiggere i Giganti. Una tempesta riporta indietro la nave. Di notte, senza riconoscersi, gli Argonauti e i Dolioni combattono e il re Cizico muore.

Argo riparte, ma dopo pochi giorni di navigazione, Eracle, che ha rotto il remo, per procurarsi il legno e costruirne un altro, sbarca nella Misia. Il suo scudiero Ila viene rapito nel bosco da una ninfa. Intanto gli Argonauti salpano senza di loro.

Amico, re dei Bebrici, sfida nel pugilato tutti coloro che giungono nel suo paese. Polluce accetta la sfida, vince e uccide il re. I Bebrici, per vendicarlo, affrontano gli Argonauti in battaglia, ma vengono sconfitti.

Gli Argonauti approdano in Bitinia, la terra dell’indovino Fineo. Gli dei, invidiosi delle abilità di Fineo, lo hanno reso cieco e balbuziente, gli hanno abbattuto il palazzo e hanno inviato alla sua mensa le mostruose Arpie. In breve tempo gli Argonauti le uccidono e si fanno predire dal vecchio le loro prossime tappe.

La nave Argo giunge nello stretto delle Simplegadi, enormi scogli che cozzano continuamente fra di loro, distruggendo qualunque nave tenti di passarci in mezzo. Non potendo passare altrove, Giasone segue i consigli di Fineo: fa volare in avanti una colomba in modo che gli scogli si chiudano e decide di ritentare il passaggio quando si riaprono. La nave riesce ad attraversare lo stretto con l’aiuto di Atena e a proseguire lungo le coste del Ponto Eusino.

Dopo l’apparizione di Apollo sull’isola di Tinia, gli Argonauti approdano nel paese dei Mariandini, dove sono ospitati dal re Lico. Mentre l’indovino Idmone è ucciso da un cinghiale, il timoniere Tifi muore per malattia e viene sostituito da Anceo. Si unisce agli Argonauti anche Dascilo, figlio di Lico.

Gli Argonauti giungono nella terra delle Amazzoni e sull’isola di Ares; hanno contatti con i Calibi, i Tibareni e i Mossineci. Sull’isola di Ares incontrano i figli di Frisso i quali, naufragati in viaggio verso la Colchide, si uniscono agli eroi. Oltrepassata l’isola Filireide, arrivano al fiume Fasi.

Giunti finalmente nella Colchide, gli Argonauti si appostano in un canneto. Le dee Era e Atena capiscono che le arti magiche di Medea, figlia di Eeta re della Colchide, possono aiutare gli Argonauti a conquistare il vello d’oro. Così chiedono ad Afrodite di persuadere il figlio Eros a far innamorare Medea di Giasone.

Gli Argonauti decidono di tentare di convincere Eeta a cedere il vello d’oro e si recano con i figli di Frisso, Telamone e Augia, alla sua reggia. Eeta, furioso per la sfida, impone a Giasone di affrontare una prova difficilissima: aggiogare tori enormi dagli zoccoli di bronzo che sputano fuoco, seminare denti di serpente nella terra arata, uccidere i giganti che ne nascono e sconfiggere il drago che veglia giorno e notte sul vello.

Medea, ferita da Eros e perdutamente innamorata di Giasone, usa le sue arti magiche. Giasone riesce così ad aggiogare i buoi e getta una pietra lontano dai giganti affinché questi, per averla, si uccidano a vicenda. Medea con un filtro potente addormenta il drago e Giasone si impadronisce del vello d’oro.

La nave Argo riparte con Medea a bordo. Gli Argonauti si dirigono verso l’Istro e ne seguono il corso, ma i Colchi guidati da Apsirto, fratello di Medea, riescono ad arrivare al mare di Crono prima e a tagliare loro le vie di fuga. Giasone e Medea ordiscono contro Apsirto un inganno: lo attirano con dei doni e lo uccidono.

Medea e Giasone giungono sull’isola di Eea dalla maga Circe, zia di Medea, per farsi purificare dall’assassinio; dopodiché Circe intima loro di andarsene. Quando gli Argonauti riprendono la navigazione verso la Sicilia, affrontano numerose insidie: le Sirene, Scilla e Cariddi, e le Plancte.

Gli Argonauti sbarcano sull’isola dei Feaci, da Alcinoo, al quale raccontano la loro storia. Giunge sull’isola anche un altro gruppo di Colchi, che reclama la restituzione di Medea. Per evitare la guerra, Alcinoo decide di consegnare la ragazza al padre solo se è ancora vergine e manda la moglie Arete ad avvertire Giasone. Per evitare che Medea torni dal padre, vengono celebrate le nozze di Giasone e Medea nella grotta un tempo abitata da Macride, figlia di Aristeo.

Una tempesta spinge la nave Argo verso le coste della Libia, dove si insabbia nella Sirte. Le eroine protettrici della Libia soccorrono gli eroi greci, che sono tuttavia costretti a trasportare la nave attraverso il deserto fino al lago Tritonide, dove può riprendere la navigazione. Lo sforzo spinge gli eroi a cercare una fonte: le ninfe Esperidi, private dei pomi d’oro, indicano loro la fonte fatta scaturire il giorno prima da Eracle. La ricerca di Eracle non dà frutto e muoiono gli Argonauti Canto e Mopso. La navigazione riprende e con difficoltà gli eroi escono dal lago Tritonide.

Nella terra di Creta, Medea affronta un mostro di ferro chiamato Talo, una guardia meccanica che uccide i visitatori con palle di bronzo infuocato. Conoscendo il suo punto debole, Medea gli sfila un tappo dal tallone; il gigante di bronzo perde il suo liquido vitale e soffoca.

Con una supplica al dio Apollo, Giasone e gli Argonauti vengono ricondotti con la nave Argo a Iolco.

Novecento: la musica, il mare, la fine di un sogno

Tutta quella città… non se ne vedeva la fine…/
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?/
E il rumore/
Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema/
Col mio cappello blu/
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino/
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino/
Primo gradino, secondo/
Non è quel che vidi che mi fermò/
È quel che non vidi/
Puoi capirlo, fratello?, È QUEL CHE NON VIDI… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne/
C’era tutto/
Ma non c’era UNA FINE. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo/
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. TU, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. TU sei infinito. QUESTO a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu/
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me/
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi/
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita/
Se quella tastiera è infinita, allora/
Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio/
Cristo, ma le vedevi le strade?/
Anche solo le strade, che n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una/
A scegliere una donna/
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire/
Tutto quel mondo/
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce/
E quanto ce n’è/
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla…/
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò. Lasciatemi tornare indietro.
Per favore/
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Adesso cerca di capire, fratello. Cerca di capire, se puoi/
Tutto quel mondo negli occhi/
Terribile ma bello/
Troppo bello/
E la paura che mi riportava indietro/
La nave, di nuovo e per sempre/
Piccola nave/
Quel mondo negli occhi, tutte le notti, di nuovo/
Fantasmi/
Ci puoi morire se li lasci fare/
La voglia di scendere/
La paura di farlo/
Diventi matto, così/
Matto/
Qualcosa devi farlo e io l’ho fatto/
Prima l’ho immaginato/
Poi l’ho fatto/
Ogni giorno per anni/
Dodici anni/
Miliardi di momenti/
Un gesto invisibile e lentissimo./
Io, che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio.
Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c’entra la pazzia. È genio, quello. È geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l’anima. Potevo viverli, ma non ci son riuscito.
Allora li ho INCANTATI.
E uno a uno li ho lasciati dietro di me. Geometria. Un lavoro perfetto. Tutte le donne del mondo le ho incantate suonando una notte intera per UNA donna, UNA, la pelle trasparente, le mani senza un gioiello, le gambe sottili, ondeggiava la testa al suono della mia musica, senza un sorriso, senza piegare lo sguardo, mai, una notte intera, quando si alzò non fu lei che uscì dalla mia vita, furono tutte le donne del mondo. Il padre che non sarò mai l’ho incantato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo bellissimo, volevo essere l’ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto. La terra che era la mia terra, da qualche parte nel mondo, l’ho incantata sentendo cantare un uomo che veniva dal nord, e tu lo ascoltavi e vedevi, vedevi la valle, i monti intorno, il fiume che adagio scendeva, la neve d’inverno, i lupi la notte, quando quell’uomo finì di cantare finì la mia terra, per sempre, ovunque essa sia. Gli amici che ho desiderato li ho incantati suonando per te e con te quella sera, nella faccia che avevi, negli occhi, io li ho visti, tutti, miei amici amati, quando te ne sei andato, sono venuti via con te. Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli immani iceberg del mare del Nord crollare vinti dal caldo, ho detto addio ai miracoli quando ho visto ridere gli uomini che la guerra aveva fatto a pezzi, ho detto addio alla rabbia quando ho visto riempire questa nave di dinamite, ho detto addio alla musica, alla mia musica, il giorno che sono riuscito a suonarla tutta in una sola nota di un istante, e ho detto addio alla gioia, incantandola, quando ti ho visto entrare qui. Non è pazzia, fratello. Geometria. È un lavoro di cesello. Ho disarmato l’infelicità. Ho sfilato via la mia vita dai miei desideri. Se tu potessi risalire il mio cammino, li troveresti uno dopo l’altro, incantati, immobili, fermati lì per sempre a segnare la rotta di questo viaggio strano che a nessuno mai ho raccontato se non a te/

(dal monologo teatrale “Novecento” di Alessandro Baricco, 1994, dal quale è stato tratto il film di Giuseppe Tornatore “La leggenda del pianista sull’oceano”, 1998)

E mentre meditavo sull’antico mondo sconosciuto, pensai allo stupore di Gatsby la prima volta che individuò la luce verde all’estremità del molo di Daisy. Aveva fatto molta strada per giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter più sfuggire. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, in quella vasta oscurità dietro la città da dove i campi oscuri della repubblica si stendevano nella notte.

Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C’è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia… E una bella mattina…

Così remiamo, barche contro corrente, risospinti senza sosta nel passato.

(dal romanzo “Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald, 1925)

Mi ricordai di come eravamo tutti venuti da Gatsby col sospetto della sua corruzione mentre lui stava in mezzo a noi nascondendo un sogno incorruttibile. La luna si levò più alta e mentre me ne stavo lì a rimuginare sul mondo vecchio e sconosciuto, pensai alla meraviglia di Gatsby quando per la prima volta aveva scorto la luce verde in fondo al pontile di Daisy. Era venuto da così lontano e il suo sogno deve essergli sembrato così vicino da non credere di non poterlo afferrare. Ma non sapeva di averlo già alle spalle.

Gatsby credeva nella luce verde, nel futuro orgastico che anno dopo anno si ritira davanti a noi. Ieri c’è sfuggito, ma non importa: domani correremo più forte, allungheremo di più le braccia… E un bel mattino…

Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.

(dal film di Baz Luhrmann “Il grande Gatsby”, 2013)

Il più grande musicista del mondo. Un povero orfano adottato da un operaio. La solitudine di una vita senza ambizioni, trascorsa sul mare a realizzare la spontaneità di un sogno mai nato ma vissuto. Un viaggio senza sosta tra l’Europa e l’America. Una barca. Un piccolo mondo, tanto piccolo da far venire le vertigini al solo tentativo di abbandonarlo. Un futuro mai vissuto, un presente mai passato. L’immobilità voluta di un destino dal quale risulta difficile scendere. La storia di Novecento. Un omaggio al ventesimo secolo che sta per cominciare. Un monologo tra il sé e l’altro immaginato, sempre “incantato”. Amori mai vissuti. Una morte per mano di se stesso.

Gatsby il magnifico. Un giovane ricco in fuga dalla famiglia. La solitudine di una vita ambiziosa, trascorsa nella fama e nell’illusione del raggiungimento di un sogno passato e mai più vissuto. Un viaggio verso un’utopia che scompare alla vista. Una villa. Un mondo grande, immenso, l’illusione di raggiungere un miraggio, la vertigine della ricerca di un ideale. Un futuro mai vissuto, un passato mai più presente. L’immobilità combattuta di un destino implacabile, inesorabile, ineluttabile. La storia del primo Novecento. Un omaggio all’epoca del jazz, all’imminente arrivo della grande depressione. Un monologo fattosi vita, un mondo immaginato, un sogno mai avverato. Un amore impossibile. Una morte per mano di un uomo.

Quelle di Novecento e di Gatsby sono due storie, anzi due leggende, così diverse e scollegate ma così simili e così vicine. L’immobilità del destino dell’uomo di fronte all’immensità dello spazio o al trascorrere del tempo. Il rifiuto della terraferma o il rifiuto della realtà: l’incapacità di mettere radici. Naviganti senza meta in balìa delle onde della vita. Naviganti dispersi nel mare del mondo, tra ambizione o talento, tra speranza di conservare il proprio presente o di rivivere il proprio passato. Due vite che non conoscono futuro, due esistenze che fanno dell’amore un ideale e della mancata scoperta di sé o del mondo una condizione esistenziale.
Novecento è un pianista straordinario che ha fatto della spontaneità e dell’improvvisazione i suoi punti di forza, purché riesca a rimanere radicato nel suo piccolo, povero e prevedibile mondo, circondato da un’ammirazione della quale non è mai stato alla ricerca e che è diventata semplicemente la sua vita. Una vita dalla quale non vuole scendere, una geometria perfetta che lui non accetta di rendere perfettibile, affrontando il rischio di perdere la sua infinitezza nell’infinito delle luci della città, dove la musica è soltanto rumore.
Gatsby ricerca il suo talento circondandosi di straordinario, di grandezza, di ammirazione, ma è continuamente spinto verso un passato che tenta di riportare nel presente, un presente che vive nel lusso e nella frivolezza, perché la sua luce verde, la sua ambizione, resta ancorata al futuro, laggiù nell’orizzonte del mare infinito. Una luce inafferrabile che finalmente sta per raggiungere. Finché la sua barca lo risospinge ancora una volta nel passato.
La vana ricerca della fine.

LEO 5th International Virtual Conference: participants’ feedback

Last June, Linguist Education Online (LEO) organized its 5th International Virtual Conference “United We Grow”. One month after the conference, LEO team collected and published the conference feedback.

In the panel entitled “Marketing fundamentals for interpreters and translators” Mireya Pérez, Alessandra Checcarelli and Marion Rhodes answered some questions about how to be great at networking, how to develop a social media presence, and how to create a podcast and understand multilingual SEO.
Like all other conference panels, it was a great success!

Here we are sharing some participants’ feedback:

This was a really helpful webinar. I never knew that one needed to market themselves so much in this profession. What I took from this was that networking and putting yourself out there is extremely important if you want to find work in our field.

Very resourceful and marketing skills learned from these panels.

It was interesting to hear three different perspectives and approaches to self-marketing, especially the differences between the pre and post pandemic world.

Colorful trio presentation. They covered a whole lot of ideas to make yourself visible by social media, networking, words of mouth, etc. Well done.

Alessandra commented on: word-of-mouth, online marketing, the use of social media. Love what Mireya emphasized on “have fun”. Just do it, be messy, connect with others around the world. “Out of the darkness good things happen”. Is about how I show up than how often. Excellent advise. Alessandra added: Marketing should become your daily activity, dedicate 30 mins. checking media. Find contact online and posted. Tell personal experiences. Marion: Do not compare yourself. “Find what works for you”.

Three amazing stories on how to create a niche for yourself and thrive!

Gave some good ideas on how they marketed themselves and how they are still doing what they are doing despite if their interpreting services may have been slow. This had caused them to branch out to their previous jobs which is alright because this had helped marketing her interpreting business.

I see this workshop as a continuation of Rafa’s workshop. Being able to market your business, even if you are the only one in the company is a vital part of the success. I never thought how important could be to have a webpage where I can advertise my services, or where people can be referred to when they are looking for an interpreter. Another one to treasure.

I am a big fan of Mireya’s podcast already. I liked the idea Alessandra explored that “it’s not just about showing up frequently, it’s about how you show up when you do” on social media.

I’m impressed by each individuals drive/passion for creating and putting content out on social media. It was very interesting to hear about Mireya’s experience of planning for work in her area only to be disrupted by COVID and adapting to a new virtual environment. I also appreciate Alessandra’s comments about not getting discouraged. There are a lot of opinions out there and some people will tell you not to pursue something because it is too hard.

As I am considering branching out to do more freelance interpreting, this panel gave some helpful insight into how to potentially market myself using different platforms like LinkedIn, Instagram, etc. I also like how they shared about settling in to the type of interpreting or translating you’re most drawn to and building on that or honing in on that skill and marketing yourself as a specialist in that area.

Nice presentation on networking and the power of collaborative work amongst colleagues. Mireya is one that I have on my podcasts.

I learned many different marketing techniques, social media played a important role. Also, collaborate with colleagues is markeing skill.

Overall, this was just very inspiring message about getting started. My biggest take away was about believing we can do things and when do not know how to start, do what Mireya did and Google it. Also that sometimes you have one plan, but you are taken in a different direction.

A good presentation for our industry as most of us are self-employed.

While much of the information shared did not apply directly to me as an employed health care interpreter director, great discussion. I think I personally can use the advise to get more comfortable with social media as I seek employees and contract interpreters, too.

It was very interesting to listen to these three ladies. Different background, similar approach to the profession as interpreters and translators. As Alessandra said, this is a business made of people. Get in touch with friends, colleagues, social media is essential for a person to market herself. And the three of them agree that social media is a key component to marketing, like creating a professional Facebook page. Marion created a podcast, product branding, how one can differentiate from others.

This panel was AWESOME and they all provided rich and important information on how to market yourself. With platforms like LinkedIn, Instagram, and others, learning which modules each has used to brand themselves and how they have continued managing their “brand” and themselves as language providers.

These ladies were very impressive in all they have accomplished after overcoming their self-doubts and are now being inspirational to others in our profession. Don’t give up, show up with good content and take care of your skin because the camera is here to stay.

All of them inspired so many of us to pursue our goals. There is very little out there where we can share our expertise, and experiences with others. They are all doing these through their podcasts, blogs, and videos. They have become influencers in their own field and right. I hope I can find my own way to share what I have learned through the years, and learn from others like them.

Very experienced panel in translations and good advice to follow moving forward.

This was helpful. I believe marketing is important. We all need to jump in, otherwise we’ll be left out. Especially those of us who are not that young anymore. I think as interpreters, we have to continue educating ourselves, and following the trends.

I enjoyed this session as well, while not as relevant to me personally. I appreciated learning about how to network when you are remote.

I found all three panelists gave good advice and suggestions. Their stories about how they delved into social media and had to figure it out as they went along was very encouraging. I was particularly struck by Marion and Mireya who as they moved along in their journeys, helped by having more time on their hands due to Covid, they discovered new paths, creating a podcast and becoming a search engine copywriter. I found Mireya’s advice to get messy and be creative to be inspiring.

It was great to see more panelists from outside of the US and hear their perspective. I would like to hear from a medical interpreter based in the US as well, as we have a very different marked here in this field.

Amazing how these ladies do it all and make it seem so easy.

Looking forward to next LEO conference!

Piccola enciclopedia dell’Odissea

Parlami, o Musa, dell’uomo versatile e scaltro che andò vagando tanto a lungo, dopo che ebbe distrutto la sacra roccaforte di Troia. Egli vide le città di molti uomini e ne conobbe i costumi: soffrì molte traversie in mare cercando di salvar la sua vita e il ritorno dei compagni. (…) Allora tutti gli altri eroi che erano scampati a una morte violenta, se ne stavano a casa: erano sfuggiti alla guerra e al mare. Lui solo sospirava il ritorno e la sua donna. Lo tratteneva una ninfa sovrana, Calipso, la divina tra le dee, dentro grotte profonde, desiderando che le fosse marito per sempre.

Sulle tracce dell’antica società greca

Il contesto storico

L’evolutissima civiltà greca, che nel II millennio a.C. ebbe i suoi centri maggiori intorno al mare Egeo, prima sull’isola di Creta, e poi dal 1400 a.C. a Micene, Tirinto, Pilo, Atene e in altre città greche, cade improvvisamente intorno al 1200 a.C., a causa di ampi movimenti migratori che interessarono tutta la penisola greca, le isole e l’Asia Minore. Della civiltà cretese-micenea restarono poche tracce, in quanto i beni materiali e culturali da essa prodotti non si confacevano al primitivo livello di vita dei nuovi immigrati. Le residenze principesche furono distrutte o abbandonate, l’uso della scrittura fu dimenticato, l’artigianato artistico (ceramica e metallurgia) scomparve e dalle monarchie micenee si tornò al sistema tribale prestatale. Dei secoli XI-VIII a.C. (“medioevo ellenico”) restano soltanto vaghe memorie su migrazioni e fondazioni di nuove città. Alla fine di questo oscuro periodo le stirpi greche più evolute istituirono piccole città-stato autonome governate direttamente dalle comunità, gettando le basi della civiltà greca classica.

La tradizione orale

L’epica greca conserva le tracce di questo contesto storico. Gli antichi consideravano i poemi epici parte di una vasta produzione letteraria poi perduta, tanto che non furono creati con piena originalità. Erano un prodotto di composizione e tradizione orale e i canti venivano trasmessi a memoria da una generazione di aedi all’altra. In questo processo la conservazione letterale del testo, grazie alla fedele ripetizione mnemonica di cantori analfabeti, prevaleva sull’innovazione e sull’invenzione. La funzione stessa dell’epica imponeva al cantore di non allontanarsi dalle versioni note e riconosciute del mito e della storia. In mancanza di altre fonti di informazioni, l’epos rappresentava tutto il sapere della comunità, la quale non avrebbe ammesso alterazioni o innovazioni arbitrarie. Tuttavia, proprio perché rappresentava l’unico punto di riferimento per la conoscenza della realtà e per il comportamento pratico, l’epos doveva adeguarsi di continuo al mutare delle circostanze. Il cantore, portavoce riconosciuto della coscienza collettiva (tale fu la funzione del poeta greco fino a tutta l’età classica), doveva rendere sempre di nuovo persuasivi i canti con i mezzi tecnici del suo mestiere: non inventando ma variando, spostando gli accenti, espungendo ciò che non era più ammissibile, conservando la struttura narrativa e sintattica dell’epos ma aggiornandone il contenuto.

Esiodo e Omero

L’opera di Esiodo e le notizie che abbiamo su poemi perduti fanno credere che le innumerevoli storie sugli dei e gli eroi tendessero a raggrupparsi per affinità interna, cioè a costituire serie di “esempi” su situazioni tipiche dell’esistenza, oppure a concatenarsi in racconti fluviali, a base cronologica, su vicende storico-mitologiche quali la genealogia degli dei (come nella Teogonia di Esiodo) e la guerra di Troia (nel Ciclo epico pseudo-omerico). Il repertorio era composto di unità narrative piuttosto brevi e autonome, che potevano essere cantate separatamente per un’ora di intrattenimento (come fanno gli aedi Femio e Demodoco nell’Odissea). La studiata composizione circolare, in cui ogni momento ha valore solo se riferito all’ampia struttura complessiva di un poema vero e proprio, è estranea all’epica orale autentica.
I poemi omerici Iliade e Odissea, che raccontano la civiltà micenea, presero la forma attuale soltanto verso la fine dell’VIII secolo, quando questa era ancora pressoché sconosciuta, e le stesse notizie biografiche tramandate su Omero non consentono di identificare l’autore o gli autori dei poemi. Questi poemi conservano le caratteristiche dell’epica orale (epiteti fissi, formule, scene “tipiche”), ma sono costruiti secondo un piano ragionato, intorno a un tema circoscritto della storia troiana (l’ira di Achille e il ritorno di Odisseo), al quale sono riferiti episodi presi da altri contesti. La genesi peculiare dei due poemi, nonché le loro incongruenze e contraddizioni stilistiche e contenutistiche, hanno creato tutte quelle difficoltà che vanno sotto il nome di “questione omerica”.

La società greca nei poemi omerici

Ad ogni modo, i cantori del medioevo ellenico non potevano avere un’idea delle monarchie micenee, della loro struttura interna e della loro condotta di guerra nelle imprese d’oltremare. In Omero i sovrani vivono in palazzi fastosi e comandano grossi eserciti, ma per il resto i ricordi non sono precisi, salvo le indicazioni geografiche che potevano trasmettersi senza difficoltà. Se in età micenea esisteva una poesia di corte, difficilmente avrebbe composto un grande poema sulla precarietà del potere monarchico. Nell’Iliade, Agamennone non è un re miceneo, bensì il capo di una comunità tribale, controllato almeno in via di principio dall’assemblea, che comanda una lega militare e deve meritarsi il consenso degli associati per mantenere la carica. Neppure Odisseo è un re miceneo, perché il suo potere a Itaca non è fondato su alcuno strumento costituzionale: quando torna in patria non pensa di appellarsi al popolo, tantomeno a leggi scritte che non esistono. Egli riprende il potere facendo ricorso alla violenza privata, con il solo aiuto del figlio e di pochi umilissimi alleati. Gli avvenimenti centrali dell’Iliade e dell’Odissea ci riportano a un momento storico in cui nelle comunità tribali governate da un capo elettivo e revocabile emergono individui, poi gruppi, dotati di mezzi materiali e quindi di prestigio che essi si apprestano a tradurre in potere politico. Sta sorgendo l’aristocrazia che troveremo al potere in molte città-stato arcaiche, pertanto possiamo affermare che i poemi omerici documentano la fase finale del medioevo ellenico.