Il lavoro dell’interprete: una professione, molteplici contesti

di Sergio Paris

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Quando in ambito accademico e non solo si parla della figura dell’interprete, la prima idea che viene in mente è la persona seduta all’interno di una cabina che, ascoltando il discorso originale in cuffia, traduce al microfono simultaneamente in un’altra lingua. Si tratta di un’associazione mentale più che lecita che ovviamente rientra tra le modalità di interpretazione più utilizzate nella maggior parte dei convegni e dei meeting a livello internazionale.

La simultanea è, tra le modalità di interpretazione, una delle più impegnative, in cui il livello di concentrazione deve rimanere alto e l’improvvisazione non ha scampo. Nessun interprete professionista si azzarderebbe mai a cimentarsi in una pratica così altamente tecnica senza un’adeguata preparazione.

Tuttavia, in questo articolo, vorrei parlare invece di cosa accade quando l’interprete viene chiamato a lavorare “fuori dalla cabina”. Non mi riferisco tanto all’interpretazione consecutiva che, seppur non in cabina, ha una definizione del proprio raggio di azione e quindi, come per la simultanea, anche la modalità consecutiva presenta un percorso formativo specifico e soprattutto condizioni di lavoro ben definite.

Cosa succede tuttavia quando si esce dalla cosiddetta “comfort zone”, se così la vogliamo definire? Personalmente svolgo questo lavoro da quasi 18 anni e dopo molte giornate sia come simultaneista che come consecutivista, in questi ultimi 5/6 anni spesso mi sono ritrovato a lavorare anche in molte situazioni al di fuori della summenzionata “comfort zone”, soprattutto in ambito tecnico, un settore al quale non si può sfuggire quando si lavora con una lingua come il tedesco. Corsi di formazione tecnica, visite aziendali, trattative tecnico-commerciali sono tutte situazioni che vedono l’interprete essere fisicamente il “trait d’union” dei soggetti parlanti lingue diverse. Tuttavia, ci sono anche forme di interpretazione simultanea anche in questi casi con l’utilizzo del cosiddetto bidule; ovvero si esce fuori dalla cabina che rappresenta da sempre, come ho già avuto modo di dire, la nostra “comfort zone” prediletta.

Quali sono però le difficoltà che l’interprete potrebbe trovarsi di fronte? Che sia una simultanea in bidule, una consecutiva davanti a un macchinario o una trattativa all’interno di un’officina particolarmente rumorosa, la concentrazione e lo sforzo mentale vengono sempre messi a dura prova. Dal mio punto di vista, devo ammettere che è proprio grazie a queste esperienze più tecniche e meno ordinarie che poi riesco a gestire meglio sia psicologicamente che linguisticamente qualsiasi tipo di difficoltà in cabina o al di fuori di essa. L’accavallarsi delle voci, lo spostamento fisico e l’improvvisazione delle battute che i due interlocutori si scambiano sono elementi che vanno a rendere la resa dell’interprete ancor più difficoltosa e non per questo meno gratificante.

Per alcuni anni ho insegnato interpretazione consecutiva e simultanea di lingua tedesca in una scuola universitaria privata per interpreti e traduttori e in occasione di alcuni momenti di dialogo con i miei studenti già allora facevo presente che non andava screditata nessuna forma di interpretazione. Il mio messaggio era ed è ancora questo: si è sempre interpreti, in qualsiasi ambito siamo chiamati a operare. Non è giusto pensare che il simultaneista è più interprete del trattativista. Si possono svolgere entrambe le modalità nel pieno rispetto del rigore professionale che ne compete.

Ancora oggi il mio approccio professionale è esattamente lo stesso, come anche il tipo di preparazione che vado ad affrontare. Se dovessi spezzare una lancia a favore del contesto lavorativo “fuori cabina”, potrei dire che quando si lavora più a contatto con gli interlocutori, ci si sente decisamente più parte attiva dell’atto comunicativo nel quale ci troviamo a svolgere il nostro servizio. L’intenzione, lo scopo, le emozioni e soprattutto il messaggio sono più immediati e la stessa vicinanza fisica ci permette anche di recuperare quella parte del messaggio che magari non siamo riusciti a cogliere al primo ascolto. E poi, cosa fondamentale, si percepisce più empatia che a mio modesto parere è essenziale, soprattutto in determinati contesti come il “community interpreting” e non solo. Difficilmente si può esperire la stessa empatia quando si è per così dire rinchiusi in una cabina insonorizzata.

In ultimo, lasciatemelo dire, fuori dalla cabina gli interlocutori e i fruitori del nostro servizio ci vedono e si accorgono di noi e nella maggior parte dei casi ci ringraziano per la qualità del nostro servizio, anche in maniera più diretta.

Mi rallegra il fatto che da qualche anno a questa parte anche il mondo accademico e della formazione si è accorto della necessità di addestrare figure professionali in tal senso che sappiano andare anche oltre le classiche forme di interpretazione simultanea e consecutiva. Non è assolutamente vero che se si è in grado di affrontare una simultanea, allora si possa far fronte a un corso di formazione su un macchinario o a una semplice trattativa commerciale. Ci sono regole e dettagli ben precisi da osservare anche in questi ambiti lavorativi.

In conclusione, anche la classica figura dell’interprete simultaneista, oramai posta di fronte alla sempre più imperante innovazione tecnologica come il “Remote Simultaneous Interpreting”, sta cambiando in termini di flessibilità e operatività, proprio perché sono sempre più i contesti comunicativi in cui è necessaria la sua presenza. La pratica è da sempre la migliore scuola, ma se anche la formazione fosse più attenta a queste nuove esigenze, saremmo sicuramente più preparati e meno restii a svolgere determinati servizi che possono sembrare meno gratificanti, ma che in realtà meritano la stessa attenzione di qualsiasi altro servizio di interpretazione simultanea e consecutiva.

Non è mia intenzione dare più o meno valore a una o all’altra forma di interpretazione. Come dicevo, anzi lo specifico ora, non esistono interpreti di serie A o interpreti di serie B. Nelle mie numerose giornate mi è capitato spesso di passare da una cabina a un macchinario, da una tavola rotonda al sedile posteriore di un auto aziendale con a bordo un incontro informale di un certo livello e a metà di una scala con sopra e sotto di me i due interlocutori da mediare. Situazioni queste che possono verificarsi anche nell’arco di pochi giorni, situazioni queste in cui l’interprete esprime al meglio la sua dote principale ovvero la flessibilità mentale e quindi, in virtù di quanto sopra descritto, fisica.

N.d.R.: Il presente articolo non ha alcuna pretesa formativa, né tanto meno si basa su dati scientifici. È solo frutto della mia esperienza sul campo in qualità di interprete e traduttore di madrelingua italiana per le lingue tedesco e inglese (dal 2002).

 

Informazioni sull’autore:

Mi chiamo Sergio Paris e dal 2002 lavoro come interprete di conferenza e traduttore freelance per le lingue italiano, tedesco e inglese. Risiedo in Umbria ma per motivi di studio e di lavoro sono sempre stato in giro per l’Europa. Da bambino la grande passione per la geografia si è subito trasformata in un amore smisurato per le lingue e le culture straniere, soprattutto germaniche. Nel tempo libero adoro leggere, correre all’aria aperta in mezzo alla natura e godere di qualsiasi forma d’arte l’uomo sia in grado di esprimere. Per maggiori informazioni su di me, date un’occhiata al mio sito web: www.sergioparis.it

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